PDF Per un'analisi dell'italiano tradotto nei quotidiani: considerazioni preliminari sulla costituzione di un corpus

Anche in questo caso, quindi, si riscontra che mentre nella fase centrale lo stile delle traduzioni si distaccava da quello dei romanzi autoctoni per un minor livello di formalità, nelle traduzioni contemporanee vi è un relativo recupero di un tempo verbale sempre meno usato negli originali pubblicati nella stessa fase. Ancora una volta vale la pena ricordare che alcune case editrici insistono sull’uso del passato remoto nelle traduzioni anche laddove il traduttore aveva scelto il passato prossimo. Ribadiamo che non rientra negli obiettivi del presente studio speculare sulle cause di questo cambiamento. Notiamo solo che i dati ricavati per i romanzi autoctoni sembrerebbero confermare una tendenza a una trasmissione più diretta e concisa delle informazioni, come già aveva osservato De Mauro (1999, 194) e un certo snellimento della sintassi del periodo in linea con quanto avviene nelle altre lingue europee (Santulli [2009, 167] parla di una «tendenza alla disarticolazione»). La tradizionale propensione all’amplificazione e alla complessità sintattica, che si esprime anche nella lunghezza dei periodi, non solo sembra più contenuta nei testi tradotti (come aveva già notato Cortelazzo 2010, XV), ma è oggi meno accentuata anche nei testi letterari autoctoni.

Se, insomma, in passato per questo parametro vi era uno scarto considerevole fra traduzioni e testi indigeni, oggi questo scarto sembra scomparso. Nella tabella qui presentata colpisce, in particolare, la struttura chiastica che assumono i dati relativi alle ultime due fasi, quando la frequenza dei pronomi diminuisce nei romanzi italiani nella medesima misura in cui aumenta nelle traduzioni. Questa specularità mostra come la complessità pronominale delle traduzioni contemporanee sia relativamente alta, attestandosi a un livello pari a quello dei romanzi italiani della seconda fase. Seguendo Even-Zohar (1990), si potrebbe ipotizzare che le traduzioni rivestano un ruolo diverso (di consolidamento, di rinnovamento o di conservazione) nel polisistema letterario italiano nei diversi periodi considerati. Obiettivo dell’analisi è identificare i tratti linguistici che costituiscono il «repertorio di riferimento», ovvero «l’aggregato di norme e forme condivise in un dato periodo» (Even-Zohar 1990) da scrittori da una parte e traduttori dall’altra, per stabilire se fra la lingua dei romanzi indigeni italiani e quella delle traduzioni di narrativa vi sia una differenza statisticamente significativa. La rappresentazione della traduzione ha effetti socio-politici e funziona come un dispositivo attraverso cui l’individuo immagina la sua relazione con la comunità nazionale o etnica, di questi dispositivi il contributo cerca di rendere conto, confrontandosi in modo particolare con le proposte che vengono dagli studi non soltanto euro-americani sulla traduzione. Questo dato consentirebbe di ipotizzare – ma tale ipotesi attende la prova di dati più specifici – che in traduzione si usino più che negli originali inglesi i nomi propri, per evitare l’imbarazzo nella scelta del pronome, come già notava Parks (1997) a proposito della traduzione italiana di Women in Love di D. L’inglese usa il present tense solo con riferimento a situazioni di routine, per indicare azioni ripetute o stati continuativi, mentre ricorre al present continuous per riferirsi ad azioni singole nel presente. Ci si è chiesti, pertanto, se tale forma, più diffusa in inglese che in italiano, ricorresse con maggior frequenza in traduzione rispetto ai testi scritti originariamente in italiano. A livello metodologico, il primo passo è consistito nell’individuazione di parametri di tipo morfo-sintattico per condurre l’analisi testuale mediante il programma informatico WordSmith Tools. Poiché la ricerca non verteva su categorie grammaticali (l’intento, cioè, non era di quantificare aggettivi, avverbi, verbi, ecc.) ma su singole forme (ricorrenze di parole specifiche), non è stato necessario etichettare il corpus. https://postheaven.net/trad-commerce/domande-frequenti-sui-servizi-di-traduzione

1. La perifrasi progressiva


In generale, dal confronto tra originali e traduzioni nelle tre fasi risulta che mediamente in traduzione si avevano periodi più brevi rispetto ai romanzi originali italiani nelle prime due fasi, mentre si è arrivati a una sostanziale uniformità (nella brevità) nella terza. Niccolò da Reggio è l'ultimo grande traduttore medievale di testi medici, attivo alla corte di Napoli tra il 1308 e il 1345. Le sue traduzioni rigidamente letterali, de verbo ad verbum, non ebbero grande diffusione, perché erano poco comprensibili ai lettori che non conoscessero il greco, e perché nell’insegnamento universitario continuarono ad essere utilizzate le traduzioni dall’arabo. In genere le traduzioni di Niccolò sono conservate in pochi manoscritti o soltanto nelle edizioni a stampa . Nella prima edizione latina di Galeno, curata da Diomede Bonardo e stampata da Filippo Pinzi a Venezia nel 1490, sono pubblicate circa quaranta traduzioni di Niccolò, quando ormai si stavano preparando nuove traduzioni umanistiche, stilisticamente vicine al latino classico, che negli anni successivi avrebbero sostituito quelle medievali.

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Anche in questo caso essere e avere sono stati considerati sia come ausiliari che come verbi autonomi, dal momento che il rapporto tra trapassato remoto e trapassato prossimo è analogo a quello tra passato remoto e passato prossimo. Per appurare tale tendenza all’impoverimento, siamo ricorsi a un indice che misura la varietà lessicale denominato standardised type/token ratio (STTR) fornito dal software di analisi testuale WordSmith Tools. Questo indice è ottenuto mediante il ricalcolo da zero ogni mille vocaboli del rapporto in termini percentuali tra il numero delle parole diverse (type) e il totale delle parole o occorrenze (token) di un dato corpus; successivamente il programma procede al calcolo della media di tali rapporti percentuali. Lo scarto tra i due generi testuali è netto nella seconda e nella terza fase, in cui la perifrasi è molto più utilizzata in traduzione. I dati confermano che in traduzione le forme enfatiche si sono sempre usate meno che nei romanzi originali coevi, come la mancata corrispondenza formale tra inglese e italiano per questo parametro lasciava presupporre. https://yamcode.com/ Inoltre, la mancata “difesa” del presente indicativo a favore del progressivo può indicare che la tendenza conservatrice dei traduttori dipende da certi cliché sul presunto italiano convenzionale e tradizionale. Data la necessità di un riscontro quantitativo sull’uso di tale costrutto in italiano, oltre a ricercare le desinenze del gerundio (come è stato già fatto da Cortelazzo 2007a) abbiamo associato tali desinenze a tutte le persone del presente del verbo stare, confidando in una maggiore attendibilità dei risultati data da una più puntuale contestualizzazione delle occorrenze. L’autrice discute le questioni poste dalla rilevanza del termine «traduzione» nell’ambito degli studi postcoloniali. Si è inteso inoltre acclarare, per quanto possibile, se nel tempo il rapporto tra la lingua dei romanzi italiani e quella dei romanzi tradotti sia rimasto stabile o se invece si siano verificati dei cambiamenti ed, eventualmente, quale sia la traiettoria di tali cambiamenti. Come è noto, il pronome tradizionale neutro di terza persona esso sta uscendo dall’uso scritto anche nella funzione di complemento indiretto. Il suo corrispettivo inglese, it, è invece molto presente tanto nella varietà scritta quanto in quella orale. Ci siamo chiesti se a questa differenza d’uso nelle due lingue corrispondesse una maggiore frequenza di esso nelle traduzioni rispetto agli originali italiani. In questo gruppo rientrano la perifrasi progressiva e i pronomi personali, che oggi sono entrambi soggetti a fenomeni di ristandardizzazione. […] E la verità da portare in luce è proprio quella condizione di subalternità in cui si dibattono non solo gli scrittori ma tutti. Per la maggior parte dei parametri, però, è emerso che nella prima e nell’ultima fase considerata, quelle cioè interessate rispettivamente dai processi di standardizzazione e neostandardizzazione, le traduzioni si configurano come un fattore di stabilità e di ancoraggio all’italiano della tradizione letteraria. In epoca contemporanea sembra essersi verificato un ridimensionamento nell’uso di queste espressioni, forse in reazione alla contaminazione tra scritto e parlato tentata nei decenni centrali del Novecento o forse anche perché sono un po’ passate di moda. Tra i tratti linguistici esenti da interferenza perché privi di un corrispettivo isomorfo in inglese vi sono forme lessicali enfatiche come la negazione rafforzata dalla particella mica, le locuzioni avverbiali senz’altro e meno male e l’interiezione magari. Dai risultati si evince che gli scrittori italiani contemporanei fanno un uso più parco del congiuntivo rispetto al passato (un’occorrenza ogni quindici circa dell’indicativo contro una ogni cinque nella prima fase), come pure più contenuto è oggi il ricorso al congiuntivo da parte dei traduttori (da un https://www.tisl.it/ congiuntivo ogni tre indicativi a uno ogni dieci). Abbiamo poi calcolato il rapporto tra occorrenze dell’indicativo e del congiuntivo per capire se, o fino a che punto, nell’italiano letterario contemporaneo si riscontrasse davvero un’erosione nell’uso del congiuntivo a vantaggio della forma concorrente dell’uso medio. Di nuovo, i dati, se pure indicativi, possono dare un’idea della variazione nell’uso di questo modo verbale.